Circolo dei Libri

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L'avventura dell'inverno

04dicembre
2023

Pensieri e letture sullo strano incanto dell'inverno

(m.f.) Mi piace l’inverno. Tanto più se è freddo e nevoso (mi piacciono le stagioni con carattere: caldo d’estate, freddo d’inverno). L’inverno sfida l’uomo e il suo ingegno, molto più delle altre stagioni e lo ha sempre indotto a difendersene, sin da quando senza legna da bruciare e pellicce e lana con cui coprirsi, si moriva. L’inverno è però stato sempre anche la stagione in cui il gelo bianco dell’esterno dava valore all’alone di luce e al caldo salvifico dell’interno. Già nella notte dei tempi, davanti al fuoco, mentre fuori infuriavano bufere di neve, si raccontavano storie, fra incanto e paura.

Negli ultimi anni quando si avvicina l’inverno metto mano a tre libri che mi incuriosiscono sempre: perché la storia dell’uomo può essere letta anche attraverso quella dell’inverno. Lo ha fatto benissimo un importante storico svizzero, François Walter, dell’Università di Ginevra, in un suo saggio: “Hiver. Histoire d’une saison”, Payot (sarebbe bello tradurlo in italiano). Walter dimostra come d’inverno l’uomo abbia dovuto accendere intelligenza ed estro: tenere aperte strade e valichi, affrontare carestie e malattie aggravate dal freddo, riscaldare i luoghi dove sopravvivere: le caverne, le capanne, le case di sassi, legno e paglia. L’inverno ha sempre influenzato le imprese di uomini, eserciti e popoli (basti solo pensare alle disfatte di Napoleone e poi di Hitler nel gelo devastante dell’inverno russo). Da che esiste la storia umana, d’estate si poteva dormire sotto le stelle, bastava poco fuoco per cuocere il cibo e basta. D’inverno senza fuoco si moriva. L’energia era solo quella ed era appena fuori casa. Ma bisognava prepararla d’estate, come formiche. E certi boschi erano solo dei padroni e così altri boschi erano messi in comune (nelle nostre regioni alpine e prealpine le “vicinanze”, i patriziati). L’inverno ha insomma sempre sfidato l’uomo: si lottava.

C’è un altro libro: “Inverno, il racconto dell’attesa”, di Alessandro Vanoli, Il Mulino. Vanoli, scrittore e storico, racconta il rapporto fra gli uomini e l’inverno, accentuando l’approccio antropologico e riservando spazio anche alla cultura religiosa. L’inverno fu, soprattutto nel passato, il tempo del freddo buio crescente che impauriva. L’uomo ha innestato nel calendario, da novembre a dicembre, tutta la complessa ritualità delle sue celebrazioni antiche, pagane e cristiane (dall’ evocazione dei morti alla rinascita della luce nel solstizio invernale, alla celebrazione della nascita della “luce” di Cristo nella notte di Betlemme). L’Avvento, l’Attesa, sono una connotazione implicita e desiderosa della stagione più buia che va ricercando la luce e il calore. Esiste una intimità dell’inverno sociale e affettivo: “Il silenzio attorno, noi al caldo di un fuoco acceso. È la storia millenaria di una natura che trattiene il respiro.”

Altro libro, altro approccio: Adam Gopnik, in “L’invenzione dell’inverno”, Guanda, racconta il processo di mutazione della percezione dell’inverno lungo il filo dell’avventura umana. D’estate, nella civiltà contadina, si lavorava duro nei campi e sugli alpeggi. D’inverno il lavoro si riduceva, faceva buio presto, si stava accanto al fuoco, per risparmiare legna ci si radunava a gruppi familiari attorno a un unico focolare o nelle stalle al tepore delle mucche. E nascevano narrazioni di meraviglia e paura, sbocciavano pettegolezzi e amori, si combinavano fidanzamenti. Gopnik studia l’esperienza umana dell’inverno, parla degli esploratori che sfidavano nevi e ghiacci nella tormenta, della nostalgia e della ricerca del rifugio caldo. E dice che l’inverno comodo che piace a noi, quando stiamo al caldo a guardare dalla finestra la neve che cade, non è sempre stato così. L’inverno nuovo è stato “inventato” a poco a poco. Alla legna si sono aggiunti il carbone, il gas, l’elettricità, la nafta, le termopompe; il benessere ha addolcito la dura stagione. Lascio parlare l’autore: “In una poesia del 1785, “Sera d'inverno”, William Cowper parla del postiglione che arriva dalla modernità di Londra al suo cottage fuori mano per portargli il giornale pieno di notizie, descrive la sua lettura, seduto accanto al fuoco con accanto una tazza di tè caldo. È una scena incredibilmente moderna: un po' di teina in una mano, il giornale nell'altra e il fuoco acceso, mentre le notizie mantengono una confortevole e rassicurante distanza dalla città. Ora tutto il nuovo mondo della famiglia borghese, che condivide un focolare e un desco comuni, è mostrato più affascinante d'inverno che in qualsiasi altro periodo dell'anno.” Ha ragione la Lara del Dottor Zivago quando dice a una sua amica, in un pomeriggio di neve turbinosa: “Vieni da me a bere un tè. È bello, quando nevica, stare dentro, al caldo, a parlare di cose intelligenti.”

Immagine: Pieter Bruegel il Vecchio, "Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli"