Pensieri e letture sullo strano incanto dell'inverno
(m.f.) Mi piace l’inverno. Tanto più se è freddo e nevoso (mi piacciono le stagioni con carattere: caldo d’estate, freddo d’inverno). L’inverno sfida l’uomo e il suo ingegno, molto più delle altre stagioni e lo ha sempre indotto a difendersene, sin da quando senza legna da bruciare e pellicce e lana con cui coprirsi, si moriva. L’inverno è però stato sempre anche la stagione in cui il gelo bianco dell’esterno dava valore all’alone di luce e al caldo salvifico dell’interno. Già nella notte dei tempi, davanti al fuoco, mentre fuori infuriavano bufere di neve, si raccontavano storie, fra incanto e paura.
Negli ultimi anni quando si avvicina l’inverno metto mano a tre libri che mi incuriosiscono sempre: perché la storia dell’uomo può essere letta anche attraverso quella dell’inverno. Lo ha fatto benissimo un importante storico svizzero, François Walter, dell’Università di Ginevra, in un suo saggio: “Hiver. Histoire d’une saison”, Payot (sarebbe bello tradurlo in italiano). Walter dimostra come d’inverno l’uomo abbia dovuto accendere intelligenza ed estro: tenere aperte strade e valichi, affrontare carestie e malattie aggravate dal freddo, riscaldare i luoghi dove sopravvivere: le caverne, le capanne, le case di sassi, legno e paglia. L’inverno ha sempre influenzato le imprese di uomini, eserciti e popoli (basti solo pensare alle disfatte di Napoleone e poi di Hitler nel gelo devastante dell’inverno russo). Da che esiste la storia umana, d’estate si poteva dormire sotto le stelle, bastava poco fuoco per cuocere il cibo e basta. D’inverno senza fuoco si moriva. L’energia era solo quella ed era appena fuori casa. Ma bisognava prepararla d’estate, come formiche. E certi boschi erano solo dei padroni e così altri boschi erano messi in comune (nelle nostre regioni alpine e prealpine le “vicinanze”, i patriziati). L’inverno ha insomma sempre sfidato l’uomo: si lottava.
C’è un altro libro: “Inverno, il racconto dell’attesa”, di Alessandro Vanoli, Il Mulino. Vanoli, scrittore e storico, racconta il rapporto fra gli uomini e l’inverno, accentuando l’approccio antropologico e riservando spazio anche alla cultura religiosa. L’inverno fu, soprattutto nel passato, il tempo del freddo buio crescente che impauriva. L’uomo ha innestato nel calendario, da novembre a dicembre, tutta la complessa ritualità delle sue celebrazioni antiche, pagane e cristiane (dall’ evocazione dei morti alla rinascita della luce nel solstizio invernale, alla celebrazione della nascita della “luce” di Cristo nella notte di Betlemme). L’Avvento, l’Attesa, sono una connotazione implicita e desiderosa della stagione più buia che va ricercando la luce e il calore. Esiste una intimità dell’inverno sociale e affettivo: “Il silenzio attorno, noi al caldo di un fuoco acceso. È la storia millenaria di una natura che trattiene il respiro.”
Altro libro, altro approccio: Adam Gopnik, in “L’invenzione dell’inverno”, Guanda, racconta il processo di mutazione della percezione dell’inverno lungo il filo dell’avventura umana. D’estate, nella civiltà contadina, si lavorava duro nei campi e sugli alpeggi. D’inverno il lavoro si riduceva, faceva buio presto, si stava accanto al fuoco, per risparmiare legna ci si radunava a gruppi familiari attorno a un unico focolare o nelle stalle al tepore delle mucche. E nascevano narrazioni di meraviglia e paura, sbocciavano pettegolezzi e amori, si combinavano fidanzamenti. Gopnik studia l’esperienza umana dell’inverno, parla degli esploratori che sfidavano nevi e ghiacci nella tormenta, della nostalgia e della ricerca del rifugio caldo. E dice che l’inverno comodo che piace a noi, quando stiamo al caldo a guardare dalla finestra la neve che cade, non è sempre stato così. L’inverno nuovo è stato “inventato” a poco a poco. Alla legna si sono aggiunti il carbone, il gas, l’elettricità, la nafta, le termopompe; il benessere ha addolcito la dura stagione. Lascio parlare l’autore: “In una poesia del 1785, “Sera d'inverno”, William Cowper parla del postiglione che arriva dalla modernità di Londra al suo cottage fuori mano per portargli il giornale pieno di notizie, descrive la sua lettura, seduto accanto al fuoco con accanto una tazza di tè caldo. È una scena incredibilmente moderna: un po' di teina in una mano, il giornale nell'altra e il fuoco acceso, mentre le notizie mantengono una confortevole e rassicurante distanza dalla città. Ora tutto il nuovo mondo della famiglia borghese, che condivide un focolare e un desco comuni, è mostrato più affascinante d'inverno che in qualsiasi altro periodo dell'anno.” Ha ragione la Lara del Dottor Zivago quando dice a una sua amica, in un pomeriggio di neve turbinosa: “Vieni da me a bere un tè. È bello, quando nevica, stare dentro, al caldo, a parlare di cose intelligenti.”
Immagine: Pieter Bruegel il Vecchio, "Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli"
Leggete cosa scriveva Giulio Nascimbeni sulla memoria di libri nelle care dimore dell’infanzia e della giovinezza:
“La fila di volumi che mi sta davanti non è un qualsiasi scaffale: tra noi c’è una parentela, uno ‘stato di famiglia’. Ho conosciuto le mani che, oltre le mie, li hanno toccati; ho amato gli occhi che li hanno visti, le voci che ne illustravano la severità e la bellezza. Per considerarli libri da leggere o da rileggere come mille altri, avrei bisogno di persone che non ci sono più, dovrei sentire certi passi sul pavimento della stanza qui sopra. Forse è irriverente stabilire rapporti così limitati. I capolavori superano le frontiere delle epoche, e pare assurdo vincolarli a un privato destino di assenze, a un sussulto delle travi, a un chiaroscuro di legni e camini, a un suono metallico di brocche lungo le scale. I capolavori non sono un album, né una lapide, né il film impossibile del nostro passato. Eppure….”
(Tratto da “Il calcolo dei dadi”, un libro molto bello sulla letteratura, del 1984, edito da Bompiani, oggi purtroppo esaurito).
Gulio Nascimbeni (1923-2008) fu un grande giornalista, divulgatore eccezionale di letteratura, per anni responsabile della mitica Terza Pagina del Corriere della Sera. Negli ultimi anni della sua vita era tornato da Milano alla vecchia casa padronale della sua infanzia nel mondo contadino, nella campagna veneta, dove era cresciuto in mezzo a care persone e cari libri, e scopriva quanto una libreria privata, intrisa di storia e affetti, abbia un valore ineffabile, una patina cara che appartiene alla propria unica, irripetibile e decisiva storia. Aveva ragione, Nascimbeni: i libri possono stare ovunque. Importante è leggerli, non dove stanno. Ma qui si parla di certi libri, certi vecchi libri che stanno nelle case che ci appartengono (e noi apparteniamo ad esse) sia che ancora le abitiamo, sia che ormai ne siamo lontani ma esse ci sono sempre presenti. Sono le case che abbiamo amato, dove siamo nati e cresciuti, o anche antiche case di nonni con i loro mobili severi e le loro librerie scure dove stavano libri misteriosi. Pur riconoscendo che un grande libro vive per sé stesso, anche fuori dalla storia di una esperienza personale di lettura (persone, atmosfere, un tempo perduto, memorie care, un calore, uno struggimento, una nostalgia), scopriamo talvolta che quei libri che appartengono alla propria storia hanno un loro canto e incanto, “alla luce devota della fedeltà”, come scrive Nascimbeni: la loro esistenza, afferma, è anche “un’altra, sotterranea come le radici, custodita in corridoi disabitati, vicino agli armadi delle antiche lenzuola. Mi piace una frase che Gaston Bachelard dedicò alle dimore perdute: ‘Dove ha regnato una lampada, regna il ricordo’. Credo che sia lecito sostituire una parola: anche dove ha regnato un libro, regna il ricordo”. Come è vero. Che bella la visitazione di scaffali che furono vita.
Nell'immagine: Egon Schiele, Natura morta con libri, 1914
Anna Felder, scrittrice svizzera di lingua italiana, è morta mercoledì a 87 anni, ad Aarau, suo luogo adottivo di vita. Felder è stata una delle voci più autorevoli e originali della narrativa elvetica di lingua italiana del Novecento e primi anni Duemila. Luganese, trapiantata ad Aarau dove per decenni è stata insegnante di italiano al liceo, Anna Felder ha promosso e vivificato l’italianità della Svizzera sia come insegnante, sia come promotrice di cultura, sia soprattutto come narratrice di sicuro valore. Per ricordare bene un autore nel momento del suo addio alla vita la cosa migliore da fare è leggere o rileggere quell’autore. Per questo motivo il Circolo dei libri ri-propone qui la lettura o la rilettura di “Tra dove piove e non piove”, che al di là dei successivi titoli di Anna Felder, spesso portatori di ricerca stilistica innovatrice e interessante, resta forse il suo romanzo più personale, più sentito, più emotivamente e narrativamente caro ai lettori (pubblicato nel 1972, è stato riedito nel 2015 dall’editore Dadò ed è tuttora in commercio). “Tra dove piove e non piove” è un romanzo che dopo oltre cinquant’anni mantiene tutta la sua vitalità e la sua forza di stile e di racconto, aprendo uno sguardo salutare e sensibile sulle condizioni degli immigrati italiani (ma anche dei ticinesi) nella Svizzera tedesca degli anni Sessanta (era il tempo delle iniziative anti-stranieri, fortunatamente naufragate nel voto popolare). Ecco qui dunque nel nostro sito il VIDEO e la RECENSIONE di questo bel romanzo svizzero-italiano. Dopo “Tra dove piove e non piove” Anna Felder ha pubblicato “La disdetta” (che piacque a Italo Calvino), “Gli stretti congiunti”, “Nozze alte”, “Nati complici”, “I sogni in barca”, “Le Adelaidi”, “Liquida”. Ad Anna Felder sono stati assegnati riconoscimenti e premi importanti, fra i quali, nel 2018, il Gran Premio svizzero di letteratura.
Con il Circolo dei libri si legge: autonomamente, ognuno per conto proprio, vicini e lontani, consigliati dal nostro sito web, liberamente frequentabile; ma anche si legge – o si rilegge – insieme, nei nostri Circoli di lettura. È quello che capiterà per esempio lunedì e martedì prossimi (a Bellinzona alle ore 20:00 e a Lugano alle ore 16:30 e alle ore 20:00). E lo faremo lavorando insieme (cioè parlando tra di noi) su un bel romanzo breve di Guy de Maupassant, del 1888, “Pierre e Jean”. Per tutti (ovvero quelli con cui staremo insieme e poi quelli che vorranno leggere per conto loro) riproponiamo dunque il video e la recensione su quel romanzo, sensibile negli affondi psicologici, preciso e nervoso nel ritmo, attentissimo ai grovigli interiori di uno strano gruppo familiare fra le terre e le acque di Normandia.
(m.f.) Mai salire su un treno senza un libro, sostiene chi ama la lettura. Anche perché leggere in treno significa vivere, in qualche modo, due dimensioni spazio- temporali. Se leggi da fermo, sei in una stanzialità: viaggi nello spazio e nel tempo ma solo dentro il libro (ed è il primo e non unico miracolo della lettura). In treno ti accade una doppia mobilità. Tu viaggi dentro il romanzo (sei nella neve di Russia accanto a Natascia Rostof, sei nella Londra povera e fuligginosa con David Copperfield, sei nel giardino immenso con Micol Finzi Contini) ma viaggi anche davvero: ogni tanto metti il dito nel libro, alzi lo sguardo e vedi uno spicchio del lago dei Quattro Cantoni, rialzi più tardi gli occhi e vedi un altro lago, quello di Zurigo, sotto un altro cielo. E sempre passano filari di alberi, case, stazioni, campi di grano, fattorie, città. Viaggi nel libro e nello spazio. Due sensazioni gemellate.
Illustrazione: Sally Storch (USA, 1952): "Donna che legge in treno"
La letteratura a scuola. Come potrebbe essere, come spesso purtroppo è. Scrive Tzvetan Todorov (1939- 2017) in "La letteratura in pericolo" , Garzanti, 2008:
"...Gli studi letterari scolastici hanno lo scopo principale di farci conoscere gli strumenti di cui si servono. Leggere poemi e romanzi non porta a riflettere sulla condizione umana, l'individuo e la società, l'amore e l'odio, la gioia e la disperazione, ma su nozioni critiche, tradizionali o moderne. A scuola non si apprende che cosa dicono le opere, ma che cosa dicono i critici".
Todorov si riferiva alla scuola francese ma esiste un po' ovunque il problema dei metodi tecnici, strutturali, analitici che, insegnando letteratura nelle scuole (scuola media, licei) molti docenti usano in modo sovrabbondante rispetto alla percezione complessiva dell'opera, una perfezione che possa raggiungere la mente, l'intelligenza, il cuore degli alunni. La vivisezione tecnica, stilistica di un'opera letteraria va bene per la critica pura, per il lavoro accademico in università. La scuola chiede invece anche e soprattutto l'educazione all'innamoramento letterario, alla scoperta della vita dentro i libri, pur insegnando un poco anche l'approccio critico ma in modo non ossessivo. (mf)
Nell'immagine: Albert Anker, “L’esame scolastico”, 1862
Vladimir Nabokov 1899-1977), grande autore russo che scrisse capolavori in russo e in inglese (il nostro ultimo video presenta la recente traduzione italiana del suo primo romanzo) fu anche un ineffabile prestigiatore della letteratura, un sublime mago delle parole. Ecco tre riflessioni sue: sulla commistione ambigua fra vita vera e letteratura vera, sulla sua predilezione per Tolstoj, sul piacere irrinunciabile di leggere la sera prima di dormire...
Non sono colpevole di imitare «la vita reale» più di quanto «la vita reale» sia responsabile di plagio nei miei confronti. (Da Nota bibliografica a"Una bellezza russa e altri racconti," Adelphi).
Quando leggete Turgenev, sapete che state leggendo Turgenev. Quando leggete Tolstoj, lo leggete perché non potete smettere. (Da "Lezioni di letteratura russa" ,Garzanti)
Sapere che si ha qualcosa di bello da leggere prima di coricarsi è una delle sensazioni più piacevoli della vita. (Da un'intervista del 1965)
(Illustrazione: Felix Vallotton, "Donna che legge")
Scrive Alberto Manguel, saggista e romanziere argentino:
"Anch'io leggevo a letto. Nella lunga serie di letti in cui ho passato le notti della mia infanzia, in strane camere d'albergo dove i fari delle auto che passavano proiettavano ombre paurose sul soffitto, in case i cui odori e suoni mi erano sconosciuti, in cottage estivi bagnati dagli spruzzi del mare, o in montagna dove l'aria era così secca che mettevano accanto al letto una bacinella d'acqua con essenza d'eucalipto per aiutarmi a respirare, il binomio letto-libro mi garantiva una sorta di casa in cui sapevo di poter tornare, notte dopo notte, sotto qualunque cielo. Nessuno avrebbe potuto strapparmi da quel rifugio; il mio corpo, immobile sotto le lenzuola, non aveva bisogno di nulla. Ciò che accadeva, accadeva nel libro; e io ero il narratore. La vita si svolgeva perché io voltavo le pagine. Credo di non ricordare gioia più grande, più totale, di arrivare alle ultime pagine e posare il libro, in modo da rimandare la fine all'indomani, e affondare la testa nel cuscino con la sensazione di avere veramente fermato il tempo"
Alberto Manguel, Storia della lettura, Feltrinelli
Illustrazione: Giovanni Giacometti (1868-1933) "La lettrice", xilografia, 1912
Care e cari amici del Circolo dei libri, pensavate forse che fossimo in letargo, oppure addirittura spariti? Eravamo, semplicemente, un po’ in sosta estiva, sui monti piuttosto che sui mari (ma è scelta soggettiva), riposando e divagando fra cari affetti, amici e libri buoni. Rieccoci a voi, nell’aura pre-autunnale di settembre. Presto presto rilanceremo video e recensioni, riaccendendo la nostra bella parentela che ci unisce in nome dell’avventura della lettura. Infatti corre nelle nostre vene quella linfa ineffabile e condivisa fatta di libri letti o da leggere. Sentite (anzi, leggete) questo brano tratto dall’ultimo romanzo di Cormac McCarthy, “Il passeggero”:
«Tu neghi il nostro sodalizio. Insistendo in quel tuo modo subdolo sul fatto che le nostre genealogie e i nostri rispettivi status socioeconomici ci hanno inconfutabilmente separati alla nascita. Ma io ti dico che condividere la lettura anche solo di qualche decina di libri costituisce un vincolo ben più potente del sangue».
Attenti: il romanzo di McCarthy è ostico, difficile, spiazzante, con una trama labile e persino evanescente e confusa, e immagini schizofreniche: ma rivela e conferma una grande stoffa di scrittura, affondi urticanti ed emozionanti, una forza originalissima di narrazione. Un grande scrittore, forse nell’ultima fase della sua vita (appena spentasi) anche un po’ psicotico, come se fosse lui stesso pervaso dagli accenti schizofrenici tanto devastanti nella psiche della sua protagonista femminile….Ma a parte ciò, sulla consanguineità virtuale delle letture condivise ci ha azzeccato. Per questo vi ricordiamo anche i nostri Circoli di lettura a Bellinzona e a Lugano, che riprenderanno lunedì 11 e martedì 12 settembre. Ricordiamo infine che per ricevere le nostre segnalazioni lampo che annunciano nuovi video e recensioni basta iscriversi alla nostra newsletter. A presto!
CIRCOLO DEI LIBRI
Immagine: Giovanni Giacometti: "Alberto, Diego, Ottilia und Bruno beim Lesen", incisione, 1919
Ecco titoli e le le date dei Circoli di lettura previsti in autunno:
Bellinzona: ore 20:00 (Albergo Internazionale)
Lugano 1 e 2: ore 16:30 e ore 20:00 (Albergo Villa Castagnola)
Lunedì 11 e martedì 12 settembre:
Giani Stuparich, "Un anno di scuola", Quodlibet
Giani Stuparich, "L'isola", Quodlibet
Lunedì 9 e mercoledì 11 ottobre:
Italo Svevo, "Senilità", Mondadori
Lunedì 6 e martedì 7 novembre:
Guy de Maupassant, "Pierre e Jean", Garzanti
Lunedì 4 e martedì 5 dicembre:
Karen Blixen, "La mia Africa", Feltrinelli
Per ogni informazione:
info@circolodeilibri.ch
079 456 44 87