Amica della mia giovinezza
2016
Alice Munro
Einaudi
La misura narrativa di Alice Munro è quella dei racconti, che possiedono nella sintesi di poche decine di pagine tutta la pienezza e la forza espressiva di un romanzo: in ognuno di essi lei mette la densità di vite e destini che, per frammenti, rivelano altro, di più. Il suo modo di scrivere è strano, denso e sontuoso e non sempre è decifrabile a prima vista per chiarezza di fatti: molti eventi sono tracciati per scaglie di memoria, o allusioni vaghe. Nei suoi racconti appaiono ritratti, brandelli di vite, squarci di destini che sono rivelati con affondi di lucidità, con una inesorabile limpidezza di sguardo (che non è mai un giudizio morale: è una constatazione intensa, attentissima, perspicace, del mistero delle vite e dei fili che le avvolgono, le travolgono talvolta). Fondamentale è il gioco della memoria: che accende e riaccende stagioni, che rilancia desideri e rimpianti. In questa raccolta appena pubblicata in italiano si affacciano protagonisti tipici del "cast" caro alla scrittrice: sono personaggi abbastanza ammaccati dalla vita, affaticati da affetti logorati, strappi sentimentali, piccole derive private. La Munro inizia ogni suo racconto in presa diretta, dentro un presente vivo. Poi all'improvviso imprime alle storie rapide accelerazioni, ritorni, scarti di tempo. In ogni storia c'è una densità di giudizi profondi che dal particolare di un personaggio balzano nell'universale della condizione umana, senza nessuna pesantezza predicatoria. Munro scruta negli animi, dietro le quinte. Fruga nelle esistenze normali ma si sa bene che nessuna vita è davvero "normale". Ci sono parecchie mogli agitate, inquiete o dimesse e all'improvviso tentate da qualcosa, da una piccola via di fuga (come se il ricambio di un uomo potesse essere un ricambio di vita"…). Ci sono amicizie femminili tenaci o ferite, rapporti simbiotici e faticosi fra madri e figlie, struggimenti di scontento. Ci sono piccole punture precise: di una giovane ragazza bella si dice che aveva " una cascata di capelli castani mossi, con riflessi dorati, quelli che un tempo erano detti biondi, prima che arrivassero le bionde artificiali più sfacciate della storia". La signora ricca mostra compiaciuta la sua nuova casa all'amica, la quale compie lo sbaglio di "chiamare beige la tinta della cucina, che invece è tortora""… "La gente fa grandi cambiamenti, ma non sono mai quelli che crede". Di un uomo, vedovo: "Austin aveva settant'anni ed era ufficialmente in pensione"…Aveva perso peso e massa muscolare, mentre assumeva la sagoma concava e panciuta di un vecchio. Aveva le vene del collo gonfie, il naso più lungo e le guance cascanti. Era un vecchio galletto, scheletrico sì, ma ancora coriaceo, e in gamba quanto basta per un secondo matrimonio". Non aspettatevi che i racconti della Munro abbiano una finale compiuto. Quasi sempre svaniscono in un nulla di fatto, quel che doveva accadere è già accaduto nelle pieghe della vita dei protagonisti, ogni esistenza ha una sua sommessa drammaticità senza bisogno di gran finali. Si continua a vivere, con gli ematomi del vissuto addosso.
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Antonio Pennacchi
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