Circolo dei Libri

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L'amore che ti meriti

14ottobre
2014

Daria Bignardi

Mondadori

Faccio fatica, da molti anni, a scovare romanzi italiani che abbiano stoffa di scrittura e ingegno narrativo. (In genere il narratore italiano d'oggi si compiace di "belle lettere" , di ghirigori stilistici e di trame intortate, con qualche eccezione, fra cui cito il misterioso pseudonimo vincente di Elena Ferrante, oppure il bravissimo Antonio Pennacchi di "Canale Mussolini; ma è un discorso da riprendere). Mi sono ora imbattuto in un romanzo ben congegnato e di una buona tensione narrativa. Appena uscito. E di questi tempi è già gran cosa. L'ha scritto Daria Bignardi, che riesce a mettere insieme il mix, non sempre facile, di intelligenza colta e conduzione televisiva ("Le invasioni barbariche", su La7). Non è nuova al romanzo: nel 2009 aveva vinto il premio Elsa Morante e il premio Rapallo con "Non vi lascerò orfani". Seguirono altri due libri ed ora ecco questo "giallo" ferrarese in chiave che definirei esistenziale e non poliziesca se non accadesse che una delle protagoniste, quella principale, la dolce Antonia incinta, abbia quale compagno un commissario di polizia di Bologna e flirti un poco con un commissario di polizia di Ferrara. Perdoniamo a Bignardi qualche scivolatina di maniera ("il sorriso meraviglioso" del convivente di Antonia, eccetera), sorvoliamo su qualche buonismo generalizzato(dove sono i cattivi, dico quelli veri, signora scrittrice?). Ma l'impianto è buono, la scrittura è fluida, corre via fra il nervoso e l'emozionato. E la trama ti prende. Certo ci vuole un certo coraggio, dopo Giorgio Bassani, a piazzare un romanzo sulla scena di Ferrara e per di più con un accenno di radice ebrea e persino un salto al funereo cimitero ebraico da cui prende avvio (sulle prime in modo lento e cupo, poi il romanzo s'invola alla grande) il capolavoro "Il giardino dei Finzi-Contini. Ma Daria Bignardi nasce a Ferrara e ne ha diritto e poi, con minime e rispettose citazioni, rende omaggio al grande scrittore (e non solo a lui). La storia è a due voci, alternate: una mamma, Alma, e una figlia, Antonia. C'è un segreto di famiglia da disvelare, e la figlia (che sta per diventare a sua volta madre) vuole andare a cercare il filo di quel segreto frugando in un passato ben custodito. La ricognizione della memoria familiare (con retroscena lontani, dolori, ricordi affettuosi e rimpianti del tipo "eravamo felici e non lo sapevamo") si incrocia con la realtà contemporanea dei caffè nei bar, dei piatti emiliani, delle atmosfere, delle strade di nebbia, delle case color rosso scuro di Ferrara, dei selciati bagnati, dei bastioni della città, degli argini del larghissimo fiume Po. Antonia intuisce che I dolori emotivi devono essere elaborati e addolciti per permettere alla quiete del presente di distendersi in una normale, passabile felicità. Tanto più se lei ha in grembo una creatura che sta per nascere. La trama ha la cadenza avvolgente di un giallo ben costruito, il sottofondo del vissuto sorprende destini in cammino, con sensibilità psicologica. Ripeto che i personaggi intorno ad Antonia e a sua madre Amalia in fondo sono tutti fondamentalmente un po' troppo buoni; ma forse, in questi tempi in cui la narrativa, e qui in particolare quella italiana, ci regala con sadico accanimento turpi delitti, infanzie rubate, donne violentate, mafie truci, corruzioni e nichilismo contemporaneo, scoprire che ad Antonia, desiderosa di chiarezza su radici e passato, la vita sorride con una sua grazia buona, non può che far piacere. A noi che spesso leggiamo, dopotutto, per godere.