Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

16marzo
2017

Carlo Cassola

Il 17 marzo del 1917, cento anni fa, nasceva Carlo Cassola (scomparso 30 anni fa nel 1987). Ne abbiamo già parlato qui. In LIBRI abbiamo le recensioni di "Un cuore arido", "Fausto e Anna", "La ragazza di Bube". Negli incontri d'arile e di maggio a Bellinzona, Lugano, e Vacallo lavoreremo su due romanzi di Cassola.
Carlo Cassola fu molto letto quando era in vita e anche molto apprezzato. Ma ebbe anche una ingenerosa stroncatura da parte di certa critica "avanzata", raggruppata attorno alla pretesa avanguardia stilistica e di impegno denominata "Gruppo 63". Quei giudizi appaiono oggi sbagliati e presuntuosi. Del Gruppo 63 non resta nessuna traccia che valga, Carlo Cassola è riconosciuto come una delle maggiori voci narrative del 900 italiano
Il 14 marzo il "Corriere della Sera" ha dedicato doverosamente una bella pagina al centenario di Cassola, a firma di Massimo Raffaeli. Azzeccato il titolo:
"Una voce d'oggi, il riscatto di Cassola"
Qui di seguito l'incipit dell'ampio articolo. Nell'immagine, la fotografia che correda l'articolo (Carlo Cassola con la figlia Barbara)

Il destino degli autori a lungo ritenuti inattuali o persino anacronistici spesso è quello di ricomparire intatti al futuro anteriore e di essere, paradossalmente, coetanei dei figli di quanti li avevano a suo tempo rifiutati. Nonostante un consenso di pubblico che fra gli anni Cinquanta e Sessanta fu largo e generoso di riconoscimenti, Carlo Cassola venne bollato dal Gruppo 63 come una rediviva «Liala» e dunque venne liquidato come uno scrittore incapace tanto di mettere in pagina le trasformazioni della società italiana, nel trapasso fra la ricostruzione e il boom economico, quanto di recepire i risultati di quelle che allora si chiamavano le nuove scienze umane, vale a dire la psicoanalisi, l'antropologia e lo strutturalismo.
C'è di più: nel secolo della contestazione di tutte le forme convenute, Carlo Cassola sembrava ignorare fosse mai esistita l'Avanguardia e perciò la semplice idea che per legittimarsi la letteratura, come peraltro ogni opera d'arte, dovesse rigettare l'eredità della tradizione e proporsi come un segno deragliante e iconoclasta, obbedendo al credo dell'assolutamente moderno. Colui che aveva scritto nei suoi anni buoni romanzi e racconti così seriali, nel tono monocromo e nella atmosfera malinconica, da apparire repliche di una ossessione espressiva (fra gli altri Il taglio del bosco, 1950; I vecchi compagni, 1953; Un cuore arido, 1961), era infatti un provinciale educatosi al dettato scabro di Flaubert e del Joyce dei Dublinesi, era un mite professore di liceo, un socialista ed ex partigiano, la cui poetica, che chiamava del «subliminare», si era fissata una volta per sempre nei racconti giovanili de La visita (1942), estranei alla prosa d'arte allora in voga e invece dedotti dalla immagine primordiale che giurava di avere rubato al finestrino di un treno in corsa, cioè un gruppo di ciclisti fermi a un passaggio a livello. Come se lì, scrutando il fermo-immagine, si fosse chiesto una volta per sempre: chi sono quegli individui silenziosi e anonimi, qual è la sostanza e il decorso della loro vita?