Circolo dei Libri

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McEwan: un po' troppo...

22aprile
2023

(m.f.) Ian McEwan, ovvero il grande scrittore che esagera. Sul talento dell'autore britannico (una delle voci più importanti della narrativa inglese d'oggi) non si discute. Ha al suo attivo molti romanzi, seppure fra alti e bassi. Alcuni di grande spessore e valore. Adesso ecco il suo ultimo titolo appena tradotto in italiano, "Lezioni" (Einaudi). È la storia della vita di un uomo "senza qualità", nostro contemporaneo, investito da eventi eccentrici e quasi incredibili se presi tutti insieme: dalla seduzione, manipolazione, iniziazione erotica, lui minorenne, ad opera di una gagliarda e bizzarra maestra di pianoforte adulta, a una moglie che lo pianta in asso abbandonandolo con un bambino piccolissimo e scomparirà per anni e anni perché occupata a fare la grande scrittrice e dunque senza avere tempo e sentimento per la banalità di un marito e un figlio. Basta: cancellati. Quella vita apparentemente comune ma poco probabile, caricata com'è di tinte forti quasi come esigenza di spettacolo letterario, basterebbe, eccome, per riempire un romanzo. Ma non basta a McEwan, il quale ritaglia quell'esistenza su un fondale storico contemporaneo che attraversa cent'anni, grazie non solo alla propria esperienza ma anche a quella dei suoi genitori e suoceri, dunque indietro nel tempo. A Roland Baines, protagonista del romanzo, e al lettore di esso, franano così addosso accadimenti epocali, come se fossero dispense per lezioni di storia: il Terzo Reich hitleriano e la resistenza fallita dei poveri ragazzi della Rosa Bianca, la Seconda guerra mondiale, la dissuasione nucleare, il muro di Berlino costruito e poi abbattuto, gli anni di Margareth Thatcher e della guerra delle Falkland, il disastro di Chernobyl, le grandi crisi finanziarie, il terrorismo islamico, la Brexit, l'emergenza ambientale, la pandemia di COVID. Come a dire che un destino individuale si impasta con la Storia e ne viene marchiato. Ma questo, ci si chiede, è un romanzo o una continua lezione di storia? Se poi nel 1962 un quattordicenne vergine, di fronte alla crisi dei missili fra USA e URSS e alla accennata prospettiva di una guerra nucleare e dunque della fine del mondo, si mette in mente di non poter scomparire nella Apocalisse atomica senza aver prima provato le gioie del sesso e dunque si dà da fare, il lettore sente odore d'artificio. Se Ian McEwan ha voluto creare un cosiddetto "romanzo mondo", la misura gli è sfuggita un po' di mano. Con il rischio di "troppismo", ovvero di incursioni storiche in eccesso. Intendiamoci: Ian McEwan possiede forza manifesta di scrittura, sa inventare ritmi, affondi riflessivi e tensione narrativa. Lo si legge come correndo, con partecipazione di tutta la persona. Eppure c'è davvero qualcosa di eccessivo nella presunzione di mettere il mondo intero e un secolo dentro una storia personale. Il detto "il troppo stroppia" sembra adattarsi al romanzo di McEwan, nella mia valutazione soggettiva (e dunque opinabilissima: lo dico perché di solito parlo soltanto bene dei libri che mi piacciono ed evito critiche negative e non parlo dei libri che non mi piacciono). Riconoscendo la forza viva di alcuni titoli memorabili di McEwan, come "Espiazione", "Bambini nel tempo", "Sabato", mi pare giusto sottolineare qualche perplessità di fronte a un romanzo che possiede persino una certa aridità di tipo filosofico o spirituale, quasi che il povero Roland Baines non abbia nemmeno per un attimo, in tutta la propria vita piena di eventi singolari, conturbanti e drammatici, alzato lo sguardo oltre l'asticella dell'acquiescenza.