Lo scheletro nell’armadio
2025

W. Somerset Maugham
Adelphi
Un narratore può essere molte cose. Talvolta, raccontando, egli interpreta genialmente un’epoca, un travaglio sociale, o morale, un ideale sconfitto o da coltivare. Eccetera. A volte un narratore inebria il lettore (e talvolta solo i critici) per la raffinata qualità dello stile espressivo, le sperimentazioni del linguaggio. Eccetera. Ma, sgrassando di tutte le sovrastrutture cerebrali o intellettuali le definizioni, veniamo al punto: un narratore è uno che sa racontare delle storie. E un grande scrittore è uno che le sa raccontare molto bene. Se poi ci sa mettere anche la musica e i colori di uno stile alto, ecco che lo scrittore diventa un grande scrittore. E allora si può ben dire che William Somerset Maugham, raffinato narratore vissuto a cavallo fra i due secoli (nato nel 1874, morì nel 1965), medico prestato subito per fortuna al mestiere di scrittore, sia uno dei grandi nomi della narrativa britannica. L’editore Adelphi è andato negli anni ritraducendo in italiano i romanzi di Maugham ed ecco qui, fra i testi riediti di recente, “Lo scheletro nell’armadio” (che è del 1930). Come sempre, le storie private raccontate da Maugham si iscrivono su un fondale d’epoca (memorabili i bellissimi racconti di ambientazione coloniale britannica, una realtà che il giovane Maugham conobbe molto bene). Questa volta lo sfondo è la società letteraria inglese di tardo ‘800 e primo ‘900, ritratta con una elegante cattiveria, un’ironia anche autocritica e una palese constatazione pessimistica: le segrete ambizioni di ogni scrittore (gonfiarsi fino alla gloria) sono destinate quasi sempre ad afflosciarsi, anche dopo qualche precaria fioritura di successo. Molti sono i chiamati, pochissimi gli eletti. E poi, sempre, esiste quella misteriosa dicotomia fra quello che di uno scrittore si vede (la sua opera, la sua biografia ufficiale, le cose dette o mostrate sotto i riflettori della notorietà, quando essa c’è) e quello che invece è il privato sconosciuto dell’autore, la sua vita in ombra: la faccia nascosta della luna. E così accade che l’io narrante di questo romanzo, che porta il nome di Ashenden (altre volte usato da Maugham per ribattezzare se stesso) viene invitato da un suo collega scrittore (ambizioso, naturalmente) ad aiutarlo nella sua possente opera di ricostruzione della vita di un grande nume della letteratura britannica, Edward Drieffield, celebratissimo in vita e morto in odor di gloria. E perché lo scrittore si rivolge ad Ashenden? Semplicemete perché lui, da adolescente e da giovanotto, aveva conosciuto benissimo Drieffield prima che questi divenisse celebre, nel borgo di Blackstable, fra le verdi colline del Kent. Ashenden, geloso dei propri ricordi e della propria privacy, si ricusa ma intanto ripensa al proprio passato e rivela così a poco a poco a noi lettori proprio la parte di vita “in ombra” del grande scrittore Drieffield (nel quale molti critici hanno creduto di riconoscere le fattezze di questo o quell’altro grande autore ma Maugham ha sempre negato di aver pensato a un nome specifico). La faccia nascosta del grande scrittore forse sta nella stravagante, affascinante, inafferrabile figura della sua prima moglie, Rose, che Ashenden ha conosciuto molto bene. Una prima moglie che in seguito qualcuno (e soprattutto la seconda moglie) ha cercato sempre di dimenticare, lasciandola inghiottire da un silenzio totale. E invece Rose diventa di fatto il personaggio più vivido e spiazzante di questo romanzo: bella, desiderosa di piacere ed essere amata, imprevedibile e persino spregiudicata. Sembrava sparita per sempre ma invece forse non è davvero scomparsa: e questo enigma nutre la trama di tutto il libro perché, come si diceva, Maugham era uno che le storie le sapeva raccontare. Il resto è affascinante atmosfera tipicamente inglese, è balletto aggraziato di dialoghi brillanti ed eleganti, è nervatura di satira acuminata al punto che in questo romanzo lo scrittore americano Gore Vidal ha visto la felice vena di un filo narrativo “che risale fino alla grande Jane Austen”. Come complimento non è male, vero?
- Libro precedente
Il grande Gatsby
Francis Scott Fitzgerald
Einaudi