Circolo dei Libri

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Un paniere di chiocciole

13giugno
2025

Tommaso Landolfi

Adelphi

Nella forzata sintesi del nostro video abbiamo condensato nell’aggettivo “baroccheggiante” la cifra stilistica connotativa di questi elzeviri (brevi lampi narrativi giornalistici) che Tommaso Landolfi, scrittore raffinato, enigmatico e grande del Novecento italiano (1908-1979) era andato pubblicando via via sul “Corriere della Sera”. Adelphi ci ha fatto il bel regalo di pubblicarli ora in volume: sono cinquanta, la loro fioritura non à appassita ma ancora risplende di colori e profumi strani e intriganti. Stile baroccheggiante, si diceva. Ma a ben pensarci non è un termine che possa indicare una definizione bastevole: la prosa di Landolfi (stiamo a questi raccontini, una volta o l’altra parleremo di dei suoi romanzi e racconti) possiede sì le rotondità ricercate e le sinuosità evocate dallo stile barocco, ma le sa anche asciugare in un rigore tutto suo, in una compiaciuta ma anche molto ironica scrittura calcolatamente antiquata, da linguaggio forbito e colto ma anche amaramente divertito. Perché amaro, disilluso, pessimistico, qua e là assurdo e incupito (quando non è improvvisamente comico) è l’assunto contenutistico di queste brevi prose. E dunque per essere precisi bisogna infine unicamente dire che lo stile di questi scritti è semplicemente, schiettamente, ironicamente e seriosamente landolfiano. Per capire meglio, si legga. Qui, per una volta e per dare il gusto, osiamo un’ampia citazione. Fra le molte maestrìe stilistiche ed espressive di queste cinquanta perle scegliamo un passaggio di una di esse (dal titolo “Elegia”). Vi si narra la decrepitudine che insidia le vite verso l’età avanzata, nell’inesorabile sfiorire delle bellezze e delle illusioni degli anni gonfi di giovinezza. In una specie di prologo Landolfi si insinua nel brusio, nella disperante dipendenza, nel sudore e nella concitazione di una sala da gioco, attorno al cui tavolo verde stanno signore e signori quasi vecchi. Sentite che roba: “Gli uomini hanno la fronte scavata da turpi rughe, i loro capelli e i loro visi stessi sono imbigiti, nelle loro attitudini è un che di affranto, gli abiti appaiono troppo larghi per i loro corpi dimagrati; sotto il pesante trucco delle donne s’indovina la devastazione, le mani, i polsi, mostrano sgraziati tendini dove erano vellutate superfici ed hanno perso ogni loro gioiello (sacrificato alla nera deità del luogo), sull’attaccatura delle braccia s’è accumulato il sego; tutti hanno ancora talvolta una fiamma nello sguardo, ma desolata, e tutti sono già vecchi insomma. Né questi soltanto: le ondulate chiome del croupier or non è molto denominato ‘Odalisca’ (per la sua bellezza quasi femminile, le sue pallide mani e i suoi occhi a mandorla) son quasi bianche”. È una sala da gioco, dove si velocizzano e addensano le devastazioni del vivere, ma è anche una metafora della vita stessa pensata da uno scrittore soavemente perfido in una giornata di malumore… In altri racconti la prosa si invola per altri percorsi stilistici, sempre raffinatamente disegnati sulla mappa di una scrittura alta. Ma la sostanza è fulminante: sono apologhi amari, sorprese inattese e spiazzanti, vertigini di vuoto e di non senso, snodi surreali, delicate situazioni assurde o grottesche, piccoli misteri. In queste prose si aggira talvolta addirittura una specie di "mal di vivere": ma che eleganza!