Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

21dicembre
2025

“È cosa nota e risaputa che un uomo provvisto di un ricco patrimonio debba prima o poi prendere moglie.” Lo sanno bene alcune avide madri che abitano la contea dell’Hampshire, a cavallo fra Sette e Ottocento, le quali, provviste di alcune figlie maritabili, entrano in fibrillazione quando nella regione arriva, ad aprire la sua dimora gentilizia di campagna, un giovane signore molto ricco e molto scapolo. Comincia così “Orgoglio e pregiudizio”, celebre romanzo di Jane Austen, la grande scrittrice inglese di cui proprio in questa fine d’anno si ricordano e celebrano i 250 anni dalla nascita. Era infatti nata nel dicembre del 1875, morì nel 1817 a soli 42 anni. Aveva attraversato il confine fra il secolo detto dei Lumi e quello in cui sarebbe divampato il Romanticismo. Ma lei non appartenne a nessuna corrente o epoca letteraria, a nessuna stagione filosofico-culturale: fu tante cose insieme, fu unica e libera, in una parola fu e rimane una delle più grandi scrittrici di ogni tempo. Abbiamo cominciato qui con il suo più famoso incipit, per dire come in una sola breve frase d’esordio Austen aveva saputo condensare la premessa psicologica, sociale ed esistenziale degli accesi appetiti nuziali di madri fameliche e figlie sognanti. Qui però uno potrebbe obiettare: ma quelle sono cose sorpassate, d’altri tempi! Invece non è vero. A parte il fatto che, come suggeriva Italo Calvino, un “classico” è un libro che continua a dire e significare qualcosa, anche secoli dopo, alla contemporaneità (e dunque “Orgoglio e pregiudizio“ è un signor Classico), io credo che certi sentimenti e moti dell’animo sociale permangano sostanzialmente intatti nel tempo. Credo per esempio che l’occhio di certe, almeno certe madri d’oggi attente al destino economico oltre che alla felicità delle loro figlie, si posi talvolta con la stessa congettura di allora su alcuni scapoli odierni che all’aria di bravi ragazzi aggiungono cospicui conti in banche svizzere, abiti giusti italiani o inglesi, lucide auto tedesche, salti in Engadina e Sardegna, carriera e eredità. Così va il mondo. Certe pulsioni sociali, tolta la crosta variabile di riti e pregiudizi d’epoca, appartengono alla costanza ineffabile della natura umana. Jane Austen fu appartata, discreta, quasi insignificante in vita, risiedette sempre in provincia, non uscì mai dal suo paese e pure appartiene di diritto alla grande letteratura di ogni tempo. Talvolta per scrivere capolavori non è necessario frequentare accademie, scrittori, correnti culturali, città fervorose, saloni e salotti letterari. Basta il genio. Jane Austen era nata (appunto nel 1775) in una famiglia di media classe clericale, figlia di un mite pastore anglicano. Crebbe, con fratelli e sorelle, nel cerchio ovattato di una contea di campagna, spiò conversazioni mondane, vezzi e meschinità della società benestante del suo tempo, analizzò con sguardo implacabile e ironico lo spazio di desiderio, invidia e calcolo che stava fra la buona borghesia rurale e l’aristocrazia nobiliare. Visse senza strepito, danzò compìta in balli di società in cui non incontrò mai prìncipi azzurri. La sera, quando fuori faceva buio, lei leggeva, leggeva, leggeva. Morirono i genitori, rimase nubile, andò a vivere da un fratello e poi da un altro. Fece la zia affettuosa, raccontava storie ai nipotini, dava una mano in casa. Ebbe, si dice, un amore solo, segretamente coltivato ma non corrisposto. La sera si appartava e scriveva, scriveva, scriveva. Osò pubblicare. Esordì sommessamente, ebbe qualche successo solo verso la fine della sua non lunga vita (si spense a 42 anni, per una forma di tisi). Dopo, fu riconosciuta come una geniale anticipatrice di tutto il grande fiume della narrativa anglosassone. Scrisse sei romanzi, lasciò brani di altri. Le sue storie svolgono mirabili intrecci psicologici su un fondale perfetto di costume e di società, naturalmente sempre secondo il punto di vista dei gentiluomini che possiedono ville e sostanza e del piccolo mondo antico che gira loro intorno. Jane Austen, figlia di quel mondo, possiede il graffio geniale e divertito per punzecchiarne i riti e il perbenismo. Nessuna ribellione di appartenenza: soltanto la critica destata dall'intelligenza e dallo humor finissimo. La trama romanzesca si addensa in un fitto intreccio di conversazioni e di riflessioni interiori, condotte per mano dalla stessa autrice che da una parte mette in scena le parole e i fatti oggettivi e dall’altra interpreta – e giudica – i pensieri consci e anche quelli inconsci dei personaggi.
Delizioso, come in una bolla sospesa, è il paesaggio ambientale e umano: tutto si svolge fra magioni e cottage in campagna e in piccoli borghi, talvolta nel cuore di Londra o nella villeggiatura marina a Bath, ancora non sono stati inventati l’elettricità e il telegrafo, tanto meno i treni, si viaggia solo a cavallo e con le carrozze su strade fangose; nelle fredde sere d’inverno, quando fa buio alle cinque, davanti al fuoco dei salotti la socialità si esprime tutta nella conversazione, nei giochi da tavola, nei pettegolezzi rivestiti d’eleganza e schermati dal perbenismo, nelle soavi maldicenze e nelle immaginazioni, il tutto affidato alla sola parola umana. I romanzi di Jane Austen, come le musiche del suo quasi coetaneo Mozart, e con la stessa loro grazia sontuosa, sono sempre vivi e vividi nonostante i due secoli di età.
A questo punto, cari lettori e amici del Circolo dei Libri, accomodatevi: qui di seguito ecco per voi le sintesi dei romanzi austeniani da assaporare con le loro bollicine e il loro raffinato retrogusto.

“Ragione e sentimento” (1811): due sorelle, due temperamenti diversi: una possiede la virtù della pazienza e l’uso persuaso della ragione: accetta le trame del destino e vi si rassegna, pur coltivando l’emozione ben temperata della speranza. L’altra si abbandona all’istinto febbrile dei sentimenti, ne gioisce e ne soffre. Poi alla fine le cose, si sa, s’aggiustano (perlomeno nei romanzi ottocenteschi).

“Orgoglio e pregiudizio” (1813): Il romanzo più bello, il capolavoro. “È cosa nota e risaputa che uno scapolo in possesso di un ricco patrimonio debba prima o poi prender moglie” L’incipit famoso ci avverte che le schermaglie di conquista cominceranno presto. Commedia elegante e perfida, ariosa e pungente, umoristica, perspicace. Un perfetto minuetto di grazia mozartiana. (VIDEO)

“Mansfield Park” (1814): in una splendida dimora nobiliare di campagna, lontana dalla sofisticata Londra, rivive il mito di Cenerentola. Riuscirà la povera ragazza accolta con affetto e degnazione nell’alone luminoso della ricca famiglia a toccare il cuore del “giovin signore” buono ma un po’ distratto? (RECENSIONE)

“Emma” (1815): la protagonista è graziosa, affettuosa con il vecchio padre vedovo (e comicamente ipocondriaco) e con gli amici di famiglia. Ma ama giocare con le combinazioni matrimoniali altrui, tenendo al riparo il proprio cuore e non accorgendosi di chi davvero vale, tra i maschi appetibili. Aprirà gli occhi, capirà, amerà. (VIDEO e RECENSIONE)

“Northanger Abbey” (1818, postumo): qui la scrittrice prende in giro sottilmente il genere letterario detto “gotico”, in voga a fine ‘700: cupi castelli, ombre di fantasmi, paure notturne. Su quello sfondo di misteri si muove la trama amorosa: prima di godere l’agognato bene sentimentale, la giovane protagonista dovrà naturalmente superare insidie e ostacoli.

“Persuasione” (1818, postumo, l’ultimo): il miglior romanzo della Austen dopo “Orgoglio e pregiudizio”. C’era stato, per una ragazza, un amore intenso ma perduto negli anni dell’acerba giovinezza. Dopo sette anni in cui nostalgia e rammarico non svaporano, il giovanotto ritorna. Sembra impossibile riannodare i fili anche se la ragazza (cresciuta) si strugge ancora in segreto. I lettori fanno il tifo per l’amore vero, anche quando questo sembra impossibile. (VIDEO e RECENSIONE)

Si possono legere, di Jane Austen, anche altre prose brevi o incompiute: “Sandition”, “Lady Susan”. “I Watson” e poche altre pagine: C’è anche lì la traccia della genialità di scrittura di questa donnina appartata che sta in modo decisivo alle sorgenti della grande narrativa inglese dell’Ottocento.