Circolo dei Libri

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19aprile
2024

Elizabeth Strout

Einaudi

Spunta anche Olive Kitteridge, vecchia conoscenza degli estimatori della scrittrice Elizabeth Strout, fra le pagine del suo ultimo romanzo, “Lucy davanti al mare”. È quasi solo un ammicco qua e là, dalla casa per anziani dove Olive, invecchiata ma indomita, è andata a vivere. Una citazione, ecco, per confermare la modalità di Strout di far passare nei suoi romanzi (quantomeno negli ultimi, altri già ne aveva scritti in precedenza) un filo di continuità. Questa volta però, a parte le brevi apparizioni di Olive, la continuità piena è quella di Lucy Barton, che già avevamo conosciuto in precedenti libri della Strout. Qui la ritroviamo sulla sessantina e oltre, nel pieno della pandemia di Covid. Lucy è vedova del suo ultimo marito e intrattiene buoni e persino cautamente affettuosi rapporti con il suo precedente marito William (che i lettori della Strout conoscono) il quale a sua volta è stato abbandonato bruscamente dalla nuova moglie, con cui ha avuto una figlia. Con Lucy invece di figlie ne avevano avute due, ora già giovani donne sposate. Dunque si annuncia questa strana ondata di un virus pericoloso e William, che di suo è ricercatore scientifico, ne avverte la grave e pericolosa portata. E così subito si dà da fare per far partire da una New York affollata le due figlie verso territori più tranquilli; per sé e per l’ex moglie Lucy ha trovato grazie a un amico una vecchia casa isolata sopra gli scogli in riva al mare sulla costa socialmente “buona” del Maine. I due si rifugiano lì per un loro lungo lockdown, con buona intesa (diamine, sono stati sposati e hanno insieme messo al mondo due figlie) dormendo naturalmente in camere separate (diamine, avevano pur divorziato). Parrebbe che la pandemia (la quale intanto dilaga) potrebbe cambiare radicalmente le vite delle persone e i loro destini. Ma non succede così. Certo, ci sono notizie di amici e parenti contagiati e qualcuno persino muore. Certo, il quadro generale è di ansia. Certo, ci sono le mascherine obbligatorie, i distanziamenti sociali, il lockdown, l’addio alle strette di mano e agli abbracci. Anzi, Lucy e William, che sono due intellettuali progressisti, sono il rovescio ossessivo dei negazionisti conservatori ossessivi (quelli per cui il Covid era una semplice influenza, mascherine e vaccini una esagerazione imposta, eccetera). Diciamo che Lucy e William sono ligi e attenti, persino un po’ troppo. Ma a parte tutto questo, il romanzo della Strout ci dice che nonostante lo sfondo di emergenza eccezionale le vite continuano, il tempo accoglie e accompagna le trame di sentimenti e crucci, preoccupazioni, piccole meraviglie. C’è forse più tempo per camminare in una natura meno assediata, per chiacchierare la sera sotto il portico bevendo vino bianco, leggere, far niente (vabbè, dico io, non tutti sono intellettuali benestanti con una casa isolata sulla scogliera a disposizione per fuggire dai contagi, ma insomma il romanzo parla di questa élite, peraltro simpatica e intelligente). Ma infine, e questo è il punto, anche per William e Lucy la vita nonostante la pandemia scandisce le sue tappe, regala o infligge le sue tenerezze e i suoi crucci, piaceri e dolori: le figlie grandi restano figlie e ogni loro scossa privata punge il cuore di chi le ha generate e gli stessi due ex coniugi riparati sotto uno stesso tetto causa Covid si interrogano, fra timori e tremori, su questa brace antica sotto la cenere del tempo. Si incontrano persone nuove, si incrociano destini, l’esistenza snoda le sue piste impreviste, i destini ricamano le loro trame, l’età annuncia scricchiolii di corpi e pannes di mente, stanchezze e malinconie, e cresce in cascina il fieno della memoria. C’est la vie, malgrado la pandemia: e non sono necessari drammi e ferite vistose, bastano i rintocchi delle piccole cose, dei piccoli dolori e meraviglie, delle insonnie pensose, degli umori mutevoli. Elizabeth Strout ci racconta tutto questo con arguzia leggera e con lievi affondi di saggezza ben sperimentata. La sua prosa quieta e attenta, osservatrice, sembra essere debitrice del venerato maestro Anton Cechov. Il quale, si sa, non faceva accadere troppe cose, bastandogli fare accadere la vita.