Circolo dei Libri

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20marzo
2010

Per Petterson

Ed. Guanda (Narrativa straniera)

Se volete gustare un libro scandinavo uscendo dal genere inflazionato e forse abusato del thriller, ecco un bel romanzo norvegese dove la memoria dell'infanzia nitida e la malinconia laboriosa e solitaria della vecchiaia si disegnano sullo sfondo di una natura superba di boschi e di fiumi. L'autore, Per Petterson, 58 anni, è considerato uno dei maggiori scrittore norvegesi e questo suo "Fuori a rubar cavalli" è stato tradotto in 45 lingue: non è cosa da poco, considerando che il libro ha una sua tensione, una sua seria musicalità interiore e molte piste esistenziali nascoste. E' un romanzo vero, ecco. Da leggere adagio, non agitare troppo prima dell'uso, nel senso che non andrebbe letto in piccoli ritagli schizofrenici di tempo ma con una densa e attenta continuità. Dico questo perché la storia si alterna in due tempi diversi (infanzia e età matura) in un continuo cambio dei due scenari senza troppe distinzioni. Che dire, senza rivelare troppo? E' (anche) la storia di un ragazzino che vive un anno felice da solo con il suo vigoroso e complice padre in una baita tra i boschi di una vallata: con pochi amici sparsi nelle fattorie della zona lavorano al taglio di abeti e alla spedizione via fiume dei tronchi. C'è anche un giovane amico del ragazzo e i due compiono insieme ebbre scorribande finché un giorno accade qualcosa di imprevedibile dopo il quale nulla sarà proprio come prima. Succedono piccole, grandi cose, siamo nel primo dopoguerra e affiorano anche trascorsi di lotta clandestina contro l'occupazione tedesca. Il papà è l'eroe buono del ragazzino ma ha come un suo segreto che sfugge e poi c'è la percezione confusa di misteri e anche lo sguardo azzurro e bello della giovane mamma del suo amico"…L'altra scena è quella di molti, molti anni dopo. Il ragazzino di allora ha 67 anni ed è tornato a vivere nella stessa vallata (un po' più lontano dai luoghi dell'infanzia) dopo una vita di città e un suo percorso affettivo non privo di ferite. Nella solitudine ritrovata dei boschi l'uomo pensa alla vita com'è andata e a certi enigmi. E fa degli incontri"…La vicenda ha un intreccio abile di suspense fra passato e presente e intriga il lettore sino alla fine. L'iniziazione tenera e aspra alla vita è raccontata benissimo, cosi come i rapporti decisivi con gli adulti e le trafitture del destino che segnano le vite. La scrittura è bella e densa, anche molto fisica nel narrare paesaggi e stagioni, odori, alberi e animali(splendido il rapporto fra l'uomo e il suo cane). C'è qualcosa di primario e ancestrale nelle descrizioni dell'inverno che sopraggiunge, delle lunghe nevicate e del gelo mentre dentro l'uomo accende il fuoco e si prepara il bricco di caffè : "le fiamme gialle e rosse nella stufa gettano un barlume fluttuante sul pavimento e sulle pareti; quella vista mi calma il respiro e mi tranquillizza, come deve aver tranquillizzato gli uomini per migliaia di anni: che i lupi là fuori ululino pure, qui dentro accanto al fuoco siamo al sicuro". Al caldo, assieme al fuoco buono, crepitano i ricordi.