Circolo dei Libri

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07ottobre
2013

Elizabeth Strout

Fazi

Ma io insisto nel dire che anche in questo romanzo le parti migliori, inconfondibili, sono quelle in cui Strout osserva la realtà minima di persone, comportamenti, luoghi e la avvolge in rapidi tocchi di giudizi sottili. Sembra invece un po' calcolata a tavolino la portata civile della trama, che di per sé sarebbe una bella storia familiare di rapporti fraterni tesi, combattuti ma anche ineliminabili. I tre fratelli Burgess, Jim (penalista famoso e brillante), Bob (avvocato meno celebre e un po' goffo) e Susan (divorziata poco felice) hanno avuto un'infanzia su nel Maine avvolgente e provinciale. I due maschi poi se ne andranno (scapperanno?) verso New York, portandosi dietro anche l'ombra di un segreto. Susan resta su con il giovane figlio, Zachary, il quale compie una bravata contro una sinagoga di esuli somali. Ne nasce un caso pubblico, i fratelli devono corre in soccorso, la storia si accende. Ma qui entra in scena la parte un po' didattica del romanzo, con descrizioni sociologiche, reazioni razziste da una parte e ideologicamente progressiste dall'altra e parecchio buonismo "politicamente corretto". Io preferisco i lampi di vita sorpresa come da dietro le spalle: ""…Sul marciapiedi di fronte a Bloomingdale sentì una donna grassoccia che parlava al cellulare: - Ho preso dei cuscini per il soggiorno e sono proprio de colore giusto-, e in quel momento si sentì pervadere dal calore improvviso di una gioia nostalgica, come se si fosse appena imbattuta nel primo croco della stagione. Quella donna grassoccia, con grosse borse che le rimbalzavano appena contro le cosce robuste, era felicemente immersa nella propria esistenza. Era il lusso del quotidiano"…". Oppure ecco la cadenza sottile del rimpianto per le cose che passano per sempre: ""…In seguito lei avrebbe ricordato quei momenti del tardo pomeriggio allo stesso modo in cui ricordava quelli in cui, quando i suoi figli erano piccoli, la vigilia di Natale si fermava per alcuni attimi da sola in soggiorno, a guardare l'albero con le luci accese e attorno i regali, e si sentiva così felice e tranquilla che le venivano le lacrime agli occhi. E poi quei Natali erano finiti: i bambini erano cresciuti, quell'anno forse Emily non sarebbe neppure tornata a casa per le vacanze"…No, era incredibile pensare che quei Natali erano finiti". Poi comunque i figli tornano per Natale e si riaccende una luce, ma ingannevole: "Le settimane erano state piene di preparativi, poi di persone. Stivali e sciarpe lanciati in giro, briciole di biscotti, amici del liceo, bucato da ripiegare, la manicure con le ragazze, le serate trascorse a guardare un film, con l'intera famiglia di nuovo insieme, proprio in quella stanza. Felicità. Al di sotto della quale risuonava un panico silenzioso: non avrebbero mai più abitato nella stessa casa. E poi se ne erano andati tutti. La casa era immersa in un silenzio inquietante. Il gelo del cambiamento indugiava nelle stanze". E poi, ancora, paesaggi urbani con luci oblique e cocktail mondani e bugiardi a Manhattan. E un finale aperto.