2013
Georges Simenon
Adelphi
Tanto ci siamo appassionati al suo commissario Maigret che sulle prime i romanzi senza il poliziotto parigino sembravano una specie di deviazione sottotono. E invece anche nei "non Maigret" sta una forza espressiva formidabile, scandita da una osservazione attenta, disillusa, quasi ossessiva della realtà, della cosiddetta normalità. Anzi, talvolta proprio nei romanzi senza commissario sembra rilucere un optimum letterario stupefacente. Si diceva di Jules Gérec ostaggio della occhiuta autorità delle due sorelle dentro la vecchia casa cui è annesso un emporio di attrezzi da pesca, materiali e viveri (con quel suo odore di "catrame, cordami, caffè, cannella e acquavite"…"). Quella sera, mentre Jules Guérec sta rientrando a casa, accade qualcosa: un evento rapido, drammatico, nascosto (che non posso dirvi, qui). E a poco a poco nella vita di Guérec tutto cambia: paura, senso di colpa, nascondimento e anche maggiore coscienza di sé. Ci voleva uno squarcio di destino per sbrigliare una moralità bloccata, un desiderio di fuga, una maggiore coscienza di sé. Poi la vita, il destino impongono sempre il loro disegno. Il romanzo ha una sua pista di mistero; ma ad avvincere e avvolgere il lettore è la filigrana della chiusa trama di sentimenti, frustrazioni, attaccamenti e bisticci familiari, il solito disegno simenoniano della normalità (appunto) che nasconde anche cupezze, ferite, nodi irrisolti. E poi, come sempre, c'è il contorno di luoghi, atmosfere, odori, tocchi rapidi di descrizione che è la marcia in più, la cifra connotativa delle scrittore belga. Il quale scrisse questo romanzo in poche settimane standosene sulla splendida isola mediterranea di Porquerolles ma ricostruendo il freddo ventoso, certa meschinità pettegola di provincia, l'odore di salmastro e l'aria di neve della cittadina bretone del nord. Un maestro, Simenon.
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