Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

17maggio
2013

Israel J. Singer

Adelphi

Israel J. Singer non è da meno del suo più celebre fratello Isac B. Singer, premio Nobel nel 1978. Un Singer tira l'altro, fra le novità di Adelphi ecco quest'altro Singer, edito dopo 70 anni dalla sua prima pubblicazione in lingua yiddish. Israel aveva 11 anni più di Isaac, ne fu anche una specie di maestro di cultura e avventura fino a quando se ne scappò negli Stati Uniti prima del fratello. I due ebbero anche una sorella, anche lei scrittrice in America: una famiglia abbastanza eccezionale di scrittori, tutti emigrati giovani negli U.S.A. prima che la persecuzione nazista distruggesse il loro mondo. Se Isaac racconterà nei suoi libri la realtà vivissima degli ebrei europei dell'est con la dolente persuasione di essere il doveroso testimone di un mondo perduto per sempre, il fratello Israel racconta anche lui quella realtà senza sapere l'esito tragico di annientamento che la inghiottirà, perché morirà nel 1944, a soli 61 anni (mentre il fratello morirà solo nel 1991). Ma Israel sapeva benissimo quel che stava covando in Germania per averlo sentito raccontare dai moltissimi profughi ebrei e per aver vissuto egli stesso, prima dell'emigrazione, l'inizio di quella spirale terribile. Questo non è soltanto un romanzo su uno sfondo storico: certo, l'affermarsi subdolo, lento ma invasivo di un antisemitismo non soltanto calato dall'alto ma anche nato dal basso, da un humus popolare aizzato dall'umiliazione della sconfitta tedesca nella Grande Guerra e dai pregiudizi, è una componente importante del libro, direi essenziale: fa pensare, impressiona, ci tocca. Così come ci colpisce la tenacia, dura a morire, dell'attaccamento di moltissimi ebrei tedeschi alla oro patria germanica, la quale invece lentamente e drammaticamente stava ripudiando quei figli così fedeli Ma poi la storia dei personaggi, lo stagliarsi di figure splendidamente raccontate, i caratteri, i luoghi vivissimi, regalano al lettore la forza della narrativa pura, di eventi privati e personali che accadono dentro un tempo che li segna indelebilmente. I protagonisti principali (attorno ai quali si muovono tutti gli altri personaggi) sono tre. Si parte da David Karnowski, commerciante e studioso della Torah, che con la giovane moglie scappa da un piccolo mondo ebraico popolare, conservatore, mistico, a suo parere un po' retrivo per andare a Berlino dove l'ebraismo più colto ha incontrato i soffi dell'Illuminismo, poco prima della Guerra 14-18. Poi c'è suo figlio George, che nasce in Germania, intelligente, originale, ebreo laico. E infine c'è il suo figliolo, Jegor. Non anticipo nulla, nulla tolgo al piacere della lettura, che sarà forte. Ognuno dei tre viene seguito nei sentimenti privati, nell'apparire pubblico, nei mestieri, nei travagli di vita, nelle speranze e negli ardimenti. Ognuno fa i conti con la propria indelebile appartenenza ebraica, diversamente vissuta, persino fino al tentativo di integrarsi, di mescolarsi con quella maggioranza bionda dagli occhi azzurri, così tedesca e così in ordine. Israel Singer avverte la singolarità, la contraddizione mai risolvibile di quella estraneità ebraica desiderosa di mantenere il proprio nocciolo ma anche di far parte del mondo di tutti. E avverte che una bufera di sprezzante pregiudizio razziale e culturale sta cominciando a soffiare sulle radici ineliminabili cui egli stesso appartiene. Questa consapevolezza di percepire qualcosa di enorme che sta forse per accadere e la maestria grandiosa del narratore ci consegnano uno dei romanzi più belli che io abbia letto in questi ultimi tempi.