Circolo dei Libri

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15gennaio
2012

Alona Kimhi

Ed. Guanda (Narrativa straniera)

"La bellezza può fermare il respiro dell'uomo più freddo e indifferente. La bellezza può far uccidere, umiliarsi, scrivere poesie, conquistare paesi. La bellezza può far insorgere la pazzia, l'amore, l'invidia, la cupidigia. La bellezza può diffondere un piacere infinito. La bellezza può svelare qualità che anche nei tuoi sogni più sfrenati non avresti mai sospettato d'avere. La bellezza possiede capacità curative e poteri occulti. La bellezza è miele, veleno, luce. La bellezza è il contrario del caos. La bellezza è la prova quotidiana dell'occulta esistenza di Dio". Uno legge queste parole e pensa a un trattato filosofico di estetica e invece si tratta del passaggio di un romanzo di per sé pieno di pulsione narrativa, colorito, divertente, dovuto al talento di una giovane scrittrice israeliana di 47 anni, nata in Ucraina, che viene a rimpolpare il già eccezionalmente denso giro felice degli scrittori contemporanei d'Israele. Alona Kimhi racconta la storia di una ragazza sulla trentina, che si chiama Susanna Rabin (no, non è parente del celebre primo ministro Rabin assassinato, ma tutti glielo chiedono e qualche volta serve) la quale, nubile e quasi anoressica, vive con la madre vedova di un marito (e padre) adorato. Il rapporto fra le due è simbiotico, quasi morboso, con amore certo e piccoli fastidi ripulsivi. Attorno al nucleo isolato girano pochissime amicizie salde e fedeli nel grigiore di un condominio urbano dove la drammaticità politica israeliana è sfondo presente ma non ingombrante. Improvvisamente dagli Stati Uniti rientra un giovane cugino che si installa in casa: bello, incantatore, misterioso e ambiguo. E tutto prende a muoversi in modo diverso. La storia prende ritmo e annota sorprese, si fa tenera e delicata ma anche divertente, tessuta con i fili bene intrecciati della malinconia e della comicità. Susanna ha bisogno di una iniziazione, di consegnarsi alla vita aperta e libera senza tradire la radice che la costituisce: questo il nesso buono del romanzo. Che annota passaggi di felice osservazione umana e d'ambiente e colpi di humor, come quello del giovanotto pigro il quale si lamenta: "Sono stanco. Persino quando dormo sono stanco". Gli dicon "Comunque dev'esserci un modo per riposare". E lui risponde: " Per le persone che fanno della pigrizia uno stile di vita è molto difficile riposare. Quello che è riposo per gli altri, per loro è solo un giorno di normale attività". Ma poi nella nervatura narrativa si annida una tensione alla compiutezza profonda delle cose, del vivere, nonostante l'indifferenza istintiva. E così la protagonista, che in un momento di sconforto è tentata di "osare essere impertinente come un grande filosofo e dichiarare che Dio è morto" osserva: " Ma questo è un lusso che non mi posso permettere. Il mio ateismo è superficiale. Nel mio profondo devo aggrapparmi alla fede, seppure anoressica, perché senza speranza nella grazia di Dio nulla ha senso".