Circolo dei Libri

Per condividere con altri il gusto della lettura, che per principio è individuale ma poi può anche farsi compagnia.

03giugno
2023

Un romanzo per un centenario, un “classico” ticinese. 100 anni fa nasceva Plinio Martini, scrittore svizzero italiano. Era nato infatti nel 1923 a Cavergno, nel cuore della Valle Maggia, e a Cavergno morì, ancora giovane, per malattia, a 59 anni. Fu e resta uno degli scrittori più notevoli del Ticino del Novecento. Un approccio squisitamente critico può anche indurre a ritenere il Martini meno “letterario” rispetto ad altri nomi, stilisticamente forse non sempre aggiornato. Ma sono innegabili la forza civile e anche morale e la carica affettiva della sua opera, che ha assunto il ruolo di testimone vivido di una epica del territorio ticinese di montagna tra fatiche, povertà, strappi. La forza della memoria. Martini fu autore di due romanzi (“Il fondo del sacco” e “Requiem per zia Domenica”) di parecchi racconti e altri scritti. Il libro più connotato nel senso epico che si diceva e anche più emotivamente coinvolgente è certamente “Il fondo del sacco”. Ci dedichiamo allora proprio a questo libro che osiamo definire romanzo formativo di una coscienza di identità popolare e culturale per chi non voglia dimenticare o recidere radici. Proprio per questo, fra i testi che andrebbero dati da leggere obbligatoriamente ai ragazzi ticinesi d’oggi a scuola, tentando di appassionarli e non di annoiarli (spesso basta poco, basta forse soltanto che il docente stesso vi si appassioni) vi è certamente, appunto, “Il fondo del sacco“. Spesso nella tensione narrativa di una storia inventata (ma le storie inventate dagli scrittori autentici sono sempre vere) c’è più polpa di sostanza storica che non in qualche studio scientifico di analisi. Il Ticino ha naturalmente avuto una sua drammaticità di eventi politici e sociali, nella sua storia. Ma si è visto risparmiare, come il resto della Svizzera, immani catastrofi e tragedie. Non abbiamo avuto le guerre (1870, 14 -18, 39-45), non abbiamo avuto gli impeti risorgimentali e il nazifascismo in casa, la repressione e la resistenza. Abbiamo però avuto, soprattutto nelle terre più povere, un nostro dramma epico: quello dell’emigrazione forzata, che ha marchiato e mutato, con traccia indelebile, la natura culturale e civile, quasi antropologica, della nostra gente, lungo l’arco di alcune generazioni fra ‘800 e primo ‘900. La storiografia ha indagato sul “dare e avere” di quel fenomeno: abbiamo avuto correnti d’aria benefiche, sguardi aperti, ingegni stimolati ma anche strappi sociali ed esistenziali, famiglie rotte, struggimenti affettivi, nostalgie laceranti, villaggi svuotati, speranze e fallimenti, fortuna e morte. L’emigrazione ticinese in California (di questo aspetto si parla nel romanzo) ha avuto anche esiti di fortuna: molti hanno trovato benessere e anche un po’ di ricchezza, molti hanno mandato a casa denaro prezioso, alcuni sono ritornati con qualche solidità, le valli hanno ricevuto trasfusioni di soldi ma anche di sguardi aperti e conoscenza del mondo. Ma il romanzo di Martini coglie soprattutto, di quell’emigrazione, l’aspetto più dolente, personale, sperimentato ed esistenziale, di strappo, struggimento affettivo, nostalgia. Un ragazzo valmaggese, della povera valle Bavona, Gori, vive la sua adolescenza ai tempi grami della nostra montagna, con il lavoro durissimo e non bastevole per tutti e il tarlo della dolorosa tentazione dell’emigrazione come scampo. Anche Gori finisce per partire, lasciando qui la tenerezza degli affetti (la mamma, il padre, la famiglia, l’amore per Maddalena, persino la ruvida e forte figura del parroco, moralmente abbastanza autoritaria ma anche affettiva). Il congedo è straziante, nella consapevolezza di abbandonare un mondo poverissimo ma inestirpabile dal cuore. Dopo il ritorno in valle, molti anni più tardi, ecco l’altra, più sottile nostalgia, meno affettiva ma più esistenziale: quella degli ampi orizzonti scoperti di là dall’oceano. Ed ecco anche un altro disagio: Gori, tornando a casa, capisce con tristezza che il mondo che aveva lasciato quassù non si era cristallizzato in attesa del suo ritorno, il tempo aveva continuato a macinare, sono successe cose, ineluttabili. Capisce che la giovinezza e la felicità si sono perdute fra questi opposti poli di esistenza e di sentimenti, fra questo partire e tornare, in una disperante instabilità dell’animo. “Il fondo del sacco” esce dal suo territorio angusto e assume la connotazione universale della lontananza forzata, del brusco distacco dalle radici e dal nido affettivo. Per questa ragione i personaggi del romanzo non cessano di aggirarsi nei ricordi di chi ha letto il libro e magari si reca lassù a ricercarli. Nei silenzi antichi di una valle ancora intatta pare che si disveli di nuovo, come un segreto, la storia semplice e vera di Gori e di Maddalena.

26maggio
2023

Guy de Maupassant, "Pierre e Jean", Garzanti

LEGGI LA RECENSIONE

News

Circoli di lettura: programma primavera 2023

23dicembre
2022

CIRCOLI DI LETTURA INVERNO-PRIMAVERA 2023

Lunedì 6 e martedì 7 febbraio 2023 a Bellinzona e Lugano:
Carlo Fruttero e Franco Lucentini (Fruttero&Lucentini”), “L’amante senza fissa dimora”, Mondadori.

Mercoledì 29 marzo 2023, ore 19.00: incontro per tutti a Bellinzona su: Anton Cechov, “Il gabbiano” (teatro) assisteremo poi (vale per tutti i circoli di lettura), al Teatro Sociale di Bellinzona, alle ore 20.45, allo spettacolo “Il gabbiano”, di Anton Cechov, con la compagnia teatrale Leonardo Lidi, in collaborazione con il Festival dei Due Mondi di Spoleto.

Lunedì 3 e martedì 4 aprile, a Bellinzona e Lugano: 2 romanzi molto brevi (o racconti lunghi)
Philip Roth, “Goodbye, Columbus”, Einaudi (lavoreremo sul primo racconto-romanzo, che ha quel titolo, tralasciando gli altri racconti contenuti nel volume) e
Maeve Brennan, “La visitatrice”, Rizzoli

Lunedì 8 e martedì 9 maggio, a Bellinzona e Lugano 1 e 2:
Francis Scott Fitzgerald, "Belli e dannati", Feltrinelli

Per iscrizioni e informazioni:
info@circolodeilibri.ch
079 456 44 87

Novità da leggere

Infanzia e bestiario

17febbraio
2023

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Avere tutto

13gennaio
2023

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Perdonami madre

09dicembre
2022

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La vedova

25novembre
2022

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L’amore in un clima freddo

11novembre
2022

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Andarsene

28ottobre
2022

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Rincorrendo l’amore

14ottobre
2022

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La treccia alla francese

30settembre
2022

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Novità da leggere

A una voce

09settembre
2022

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Blog

Donna con libro

20maggio
2023

Ecco un bel libro sui libri, anzi sulla lettura come passione, vizio, divertimento, riflessione, emozione e vertigine. Lo ha scritto Bianca Pitzorno, autrice celebre per i suoi libri (molto belli) per ragazzi (ne ha venduti milioni copie nel mondo). Ma anche per ottimi romanzi "adulti". Qui lei si confida, trepida ed entusiasta, sulla propria vita di lettrice, incantandoci con sensazioni belle, momenti, pensieri e titoli che ci richiamano e chiamano. Fra i molti pensieri suoi ne scegliamo uno in cui lei ci dice cosa perdono coloro i quali non hanno la passione, o l'inclinazione, per la lettura. Il suo non è un discorso snobistico: è semplicemente la contentezza di gioire di un'esperienza così bella che la si vorrebbe per tutti:

"Ci sono persone non inclini alla lettura. Persone degnissime, stimabili, alle quali non si può né si deve rimproverare niente. E che probabilmente non sono consapevoli che manca loro qualche cosa, e che non ne soffrono, ma qualcosa gli manca, e io ne soffro per loro. La bellezza del conoscere e partecipare, sia pure astrattamente, ad altre vite; la trasmissione nel tempo, nei secoli, di storie esemplari, emozionanti, tristi, divertenti, appassionanti. La conoscenza di persone reali o immaginarie che potrebbero insegnarti cose importanti o anche solo esserti amiche. Manca loro il miglior rimedio alla solitudine, la possibilità di viaggiare e conoscere nel tempo e nello spazio. Io, come tutti gli altri lettori, questo tesoro lo possiedo, e ne sono riconoscente alla sorte".

Bianca Pitzorno

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Appunti cecoviani

05maggio
2023

“Occupazioni inutili e conversazioni sempre uguali si portano via la parte migliore del tempo, le forze migliori, e alla fine rimane una via mutila, senz’ali, una nullità dalla quale non si può fuggire, evadere, come se si fosse in un manicomio o in una squadra di condannati ai lavori forzati”

Anton Cechov (1860-1904)

Il grande scrittore russo sapeva bene quanto tempo enorme e prezioso viene speso da futilità e convenevoli e piccole occupazioni o illusorie o fastidiose. E così si butta via la vita. Ma poi Cechov aveva il dono grande di osservare, con curiosità vivida, con realismo amaro ma anche con tenera e talvolta divertita compassione, quel brulichio vano, quell’affannarsi di esistenze nel brusio di parole quasi sempre inutili. E ne ricavava racconti formidabili e pièces teatrali che dalla scontata routine della quotidianità traeva (come un mago fa cavando colombe bianche da un cilindro) splendide narrazioni che da oltre un secolo appassionano i lettori del mondo. Miracolo della letteratura: dare luce e forza nuove alla realtà, per minuscola e persino meschina che essa talvolta possa essere. Cechov scrisse anche questa frase, che dice tutto:

“Superare quel che di meschino e illusorio impedisce di essere liberi e felici, ecco lo scopo e il senso della nostra vita.”

Quale che sia poi la felicità nella libertà, resta tutto da scoprire. Cominciamo almeno a desiderarla.

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McEwan: un po' troppo...

22aprile
2023

(m.f.) Ian McEwan, ovvero il grande scrittore che esagera. Sul talento dell’autore britannico (una delle voci più importanti della narrativa inglese d’oggi) non si discute. Ha al suo attivo molti romanzi, seppure fra alti e bassi. Alcuni di grande spessore e valore. Adesso ecco il suo ultimo titolo appena tradotto in italiano, “Lezioni” (Einaudi). È la storia della vita di un uomo “senza qualità”, nostro contemporaneo, investito da eventi eccentrici e quasi incredibili se presi tutti insieme: dalla seduzione, manipolazione, iniziazione erotica, lui minorenne, ad opera di una gagliarda e bizzarra maestra di pianoforte adulta, a una moglie che lo pianta in asso abbandonandolo con un bambino piccolissimo e scomparirà per anni e anni perché occupata a fare la grande scrittrice e dunque senza avere tempo e sentimento per la banalità di un marito e un figlio. Basta: cancellati. Quella vita apparentemente comune ma poco probabile, caricata com’è di tinte forti quasi come esigenza di spettacolo letterario, basterebbe, eccome, per riempire un romanzo. Ma non basta a McEwan, il quale ritaglia quell’esistenza su un fondale storico contemporaneo che attraversa cent’anni, grazie non solo alla propria esperienza ma anche a quella dei suoi genitori e suoceri, dunque indietro nel tempo. A Roland Baines, protagonista del romanzo, e al lettore di esso, franano così addosso accadimenti epocali, come se fossero dispense per lezioni di storia: il Terzo Reich hitleriano e la resistenza fallita dei poveri ragazzi della Rosa Bianca, la Seconda guerra mondiale, la dissuasione nucleare, il muro di Berlino costruito e poi abbattuto, gli anni di Margareth Thatcher e della guerra delle Falkland, il disastro di Chernobyl, le grandi crisi finanziarie, il terrorismo islamico, la Brexit, l’emergenza ambientale, la pandemia di COVID. Come a dire che un destino individuale si impasta con la Storia e ne viene marchiato. Ma questo, ci si chiede, è un romanzo o una continua lezione di storia? Se poi nel 1962 un quattordicenne vergine, di fronte alla crisi dei missili fra USA e URSS e alla accennata prospettiva di una guerra nucleare e dunque della fine del mondo, si mette in mente di non poter scomparire nella Apocalisse atomica senza aver prima provato le gioie del sesso e dunque si dà da fare, il lettore sente odore d’artificio. Se Ian McEwan ha voluto creare un cosiddetto “romanzo mondo”, la misura gli è sfuggita un po’ di mano. Con il rischio di “troppismo”, ovvero di incursioni storiche in eccesso. Intendiamoci: Ian McEwan possiede forza manifesta di scrittura, sa inventare ritmi, affondi riflessivi e tensione narrativa. Lo si legge come correndo, con partecipazione di tutta la persona. Eppure c’è davvero qualcosa di eccessivo nella presunzione di mettere il mondo intero e un secolo dentro una storia personale. Il detto “il troppo stroppia” sembra adattarsi al romanzo di McEwan, nella mia valutazione soggettiva (e dunque opinabilissima: lo dico perché di solito parlo soltanto bene dei libri che mi piacciono ed evito critiche negative e non parlo dei libri che non mi piacciono). Riconoscendo la forza viva di alcuni titoli memorabili di McEwan, come “Espiazione”, “Bambini nel tempo”, “Sabato”, mi pare giusto sottolineare qualche perplessità di fronte a un romanzo che possiede persino una certa aridità di tipo filosofico o spirituale, quasi che il povero Roland Baines non abbia nemmeno per un attimo, in tutta la propria vita piena di eventi singolari, conturbanti e drammatici, alzato lo sguardo oltre l'asticella dell'acquiescenza.

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Giovane donna accanto al fuoco...

07aprile
2023

Un romanzo breve, denso, essenziale, enigmatico: “La visitatrice”, di Maeve Brennan (Rizzoli). Lo trovate presentato, con video e recensione, nel nostro sito. Ci abbiamo lavorato sopra con i nostri Circoli di lettura, nell’incontro di Bellinzona e nei due incontri di Lugano, lunedì e martedì 3 e 4 aprie scorsi. Riportiamo qui un pensiero, sintetico e del tutto condivisibile, di una delle nostre partecipanti. Nella nostra immagine ecco l’autrice Maeve Brennan, dalla bellezza fine, delicata, aristocratica: messa così, pensosa, davanti a un bagliore di fuoco di camino che ricorda quelli che incessantemente riscaldano nel romanzo i corpi freddolosi dei protagonisti (ma raramenente il loro cuore), l’autrice sembra qui l’esatta versione visiva del personaggio da lei creato. Ma veniamo al giudizio:

“Ho letto “La visitatrice” di Maeve Brennan: straordinaria scoperta! Mi ha colpito come ogni elemento - natura, oggetti, strade, palazzi - in questo racconto lungo sembri partecipare alla vita della protagonista Anastasia. Persino il mutare della luce, non importa che sia naturale o artificiale, accompagna i suoi stati d’animo come una musica di sottofondo. E poi questo tema centrale (i nostri atti ci seguono, inesorabili, implacabili!): ereditare una colpa che non si è commessa se non per aver scelto fra due amori, quello per il padre e quello per la madre. Ma per la nonna, Mrs King, Anastasia non può essere assolta. Ci si chiede che passato abbia avuto l’anziana signora, così avara di sentimenti e compassione, così bloccata nel tempo come la casa che abita, ancora così attaccata alla memoria dell’unico figlio. Elementi che fanno parte di quel non detto così ben spiegato nell’introduzione e che rendono questo racconto angosciante, enigmatico e perfetto”.

(Francesca Battistella).

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